CORO DEI MIGRANTI – intervista al M° COLUSSI

Per gentile concessione di Gorizia News & Views – Anno 2 – n. 6 Giugno

Al Nazareno è nato il coro dei migranti: il maestro Colussi insegna le canzoni storiche della Grande guerra

di Ismail Swati e Saqib Rafique

Il dottor Antonio Colussi, friulano, ha dato vita, al Nazareno di Straccis, a un ensemble corale del quale fanno parte un gruppo dei richiedenti asilo interessati alla musica. Una volta alla settimana, da circa tre mesi, stiamo imparando alcune canzoni storiche italiane della prima guerra mondiale che canteremo prossimamente in una performance musicale. Abbiamo pensato di intervistare il Maestro Colussi per il nostro giornale per parlare della sua iniziativa e di come è maturata l’idea del coro dei migranti. Siamo molto grati al dottor Colussi per averci dedicato parte del suo tempo prezioso e per aver illustrato la “filosofia” che sta alla base del suo lavoro.

Per cominciare, maestro, ci parli un po’ di lei, della sua vita, e della sua passione per la musica e il canto corale.
Sono nato a Gemona del Friuli, e per vent’anni ho fatto il maestro elementare. Successivamente ho superato l’esame del concorso nazionale di direttore didattico, poi dirigente scolastico (preside). Ho concluso la mia carriera all’Istituto Tecnico “A. Zanon” di Udine.
Fin da bambino mi piaceva la musica, in modo particolare cantare. Ricordo che mi recavo in coro, nella chiesa del mio paese, Ospedaletto, e assistevo alle prove dei cantori. Mi affascinava il suono dell’organo, vedere tutti questi uomini, con l’organista, andare di pari passo con i gesti del direttore. E sognavo di diventare un giorno pure io direttore.
Durante l’ultimo anno di frequenza all’Istituto magistrale “C. Percoto” di Udine, il prof. di musica Todero volle tenere un saggio in sala Ajace e mi invitò a dirigere il Coro degli allievi. Frequentavo, nel contempo, anche la cattedra di fagotto presso l’Istituto musicale pareggiato “J. Tomadini” di Udine (oggi Conservatorio). Da allora è iniziata ufficialmente la mia attività di direttore di coro, sempre come dilettante.

Considera la musica un hobby o una parte vera e propria della sua vita professionale?
La musica, da sempre, è stata la mia passione e ha accompagnato, come fossero due strade parallele, la mia vita professionale. Negli anni ’70 dirigevo i bambini del Gruppo folcloristico “Primevere” e gli adulti del Coro “La Torate” di Gemona. Dopo il terremoto del 1976 ho diretto i Cori “Li Muris” di Venzone, “Monte Canin” di Resia, “Panarie” di Artegna, “Alpe Adria” di Treppo Grande ed il ricostituito Coro “Primavera”, formato da ex allievi dell’IT “A. Zanon” di Udine. Attualmente dirigo il Coro “Primetor” di Gemona del Friuli, ricostituitosi in occasione del 40° anniversario del sisma.

Qual è il suo giudizio a proposito della musica oggi in Italia, in particolare quella corale, considerando la lunga e ricca tradizione di musica operistica e religiosa del nostro paese?
L’Italia ha un immenso patrimonio artistico, forse il più importante al mondo; purtroppo non sappiamo apprezzare e valorizzare questa ricchezza. In campo musicale, dal canto gregoriano, al Rinascimento e giù giù fino ad oggi, la sola voce prima e il Coro poi hanno rivestito un ruolo fondamentale per la cultura e la civiltà italiane. Attraverso il Coro, infatti, ogni corista ha modo di ascoltare se stesso, ascoltare gli altri, crescere socialmente, culturalmente, spiritualmente. Ciascuno rinuncia ad una parte di sé per mettersi, assieme agli altri, al servizio della musica. Ciò richiede rispetto delle regole, ordine, condivisione, armonia, fusione di voce, mente e cuore.

Come è nata l’idea di coinvolgere gli immigrati e di insegnare loro a far parte di un coro?
La professoressa Emanuela Cosatti, dell’Associazione di volontariato Buonavia, alcuni mesi fa mi ha detto: “Avrei una proposta particolare da farti, quasi una sfida: istituire un Coro al Nazareno a Gorizia, con alcuni immigrati afgani e pakistani”. Così l’8 marzo 2018 abbiamo avuto il primo incontro, grazie anche all’intervento del mediatore culturale Masoud Latifi.
L’attività corale ha luogo ogni martedì dalle ore 10.00 alle 11.00, al Nazareno, nell’ambito delle lezioni di lingua italiana. Sono presenti l’insegnante di italiano Cinzia Cozzi e la tirocinante Giulia Moratto.

Come descriverebbe la sua esperienza con i ragazzi di Nazareno? Trova difficile insegnare a loro che non comprendono pienamente la lingua italiana? Cosa pensa della loro voglia e capacità di apprendere?
Dopo oltre quarant’anni di direzione corale vado subito al sodo. Cerco di coinvolgere tutti direttamente, di motivarli, di far capire loro quanto sia bello cantare, esprimere attraverso la voce quello che si è, ciò che si ha dentro.
Dopo un iniziale momento dedicato alla tecnica vocale (respirazione, emissione del suono, intonazione…) passo alla lettura del testo del brano scandendo lentamente le parole, soffermandomi sulla corretta pronuncia. Quindi rileggiamo assieme più volte il testo.
Di seguito spiego il periodo storico e culturale in cui il brano è nato ed i contenuti dello stesso. Faccio un collegamento con il loro Paese di origine e sottolineo i sentimenti umani che pervadono il testo, mettendo in risalto i sentimenti, le emozioni che suscita la musica e che vorremmo condividere e trasmettere agli altri.
Tutti sono molto motivati, attenti, partecipi. La pronuncia migliora di volta in volta; qualcuno trascrive nuovamente le parole da sé, come esercizio spontaneo di rinforzo.

E così i richiedenti asilo non imparano solo a cantare, ma apprendono anche la lingua, la cultura e la tradizione italiane, sentendosi part, attraverso questa attività, della stessa società del Paese che li ospita…
Attraverso questo Progetto 1918/2018 gli immigrati non solo imparano a cantare, a stare insieme, ma diventano parte integrante della società, come un nuovo tassello del variegato e variopinto mosaico umano. Infatti, conoscendo le vicissitudini, la guerra, le sofferenze dei profughi della Prima guerra mondiale, gli immigrati afgani e pakistani rivivono le loro storie personali, prendono forza per guardare avanti, per avere fiducia nella bontà dell’Uomo, nel cuore dell’Uomo che non si arrende, non cessa di sperare, lottare, combattere.
Ecco allora che il Coro, alla fine, è la voce dei sentimenti, degli affetti che spronano ciascuno a guardare oltre i muri, per progettare una nuova vita.